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Crollo della sterlina, cosa guardare sui mercati

Matteo Paganini
Head of Sales, Italy and Spain
26 set 2022
La sterlina inglese è crollata nella notte andando a toccare un minimo sotto 1.0350.

Il nuovo esecutivo britannico, guidato da Liz Truss, ha varato un piano da 150 miliardi di sterline che il mercato non considera sostenibile in quanto pericoloso per il livello che il debito pubblico potrebbe raggiungere, andando a provocare delle vendite senza precedenti sulla sterlina inglese che hanno fatto segnare un nuovo minimo storico, ben più basso rispetto ai livelli di 1.0850 toccati nel lontano 1985, quando le Banche Centrali dell’allora G5 (Germania, Francia, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito) oltre al Canada, decisero di intervenire sul mercato dei cambi per contrastare la forza generalizzata del dollaro americano.

Il piano è stato descritto in parlamento come “l’inizio di una nuova era”, con l’obiettivo di trasformare la situazione di corrente stagnazione in crescita economica, andando a ribaltare l’approccio conservatore durato un decennio ed improntato al rigore, tagli alla spesa pubblica e ordine dei conti pubblici.

Esso ha l’obiettivo di abbassare il tasso di inflazione, riportandolo vicino al target del 2% (attualmente al 9.90%) e di far crescere il Prodotto Interno Lordo al 2.5%, in netto contrasto alla situazione attuale, confermata dalla Bank of England, che settimana scorsa ha dichiarato di poter già essere in recessione economica e prevede, tra l’altro, un pacchetto di maxi tagli alle tasse da 45 miliardi.

In breve, è stato previsto un tetto annuo di 2500 sterline sulle bollette che le famiglie andranno a pagare, è stata ridotta l’aliquota sui redditi superiori alle 150.000 sterline dal 45% al 40% ed ha ridotto l’aliquota minima dal 20% al 19%. Infine, le imprese non dovranno pagare la nuova imposta pari al 25%, ma la manterranno al 19%.

La reazione del pound è stata imperativa e non lascia spazio ad interpretazioni, cerchiamo di capire quali siano i principali fattori da tenere in considerazione in questo delicato momento storico per i mercati finanziari.

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Forza del dollaro e mancanza delle classiche di valute rifugio

Il dollaro americano sta mostrando una forza importante nei confronti delle principali valute mondiali. Questo è dovuto principalmente al differenziale di tasso tra il dollaro e le altre divise che permette agli investitori di guadagnare nel momento in cui si acquista la valuta americana contro altre valute ed alla situazione di incertezza generale che consacra il ruolo di valuta rifugio del biglietto verde. Abbiamo già visto come, allo scoppio della pandemia, quando tutti gli asset venivano venduti alla ricerca di liquidità, l’unica divisa ad essere acquistata è risultata proprio il dollaro. Il franco svizzero, classica valuta rifugio, non veniva più presa in considerazione in quanto il grado di incertezza aveva raggiunto livelli mai visti ed i tassi erano negativi, mentre lo yen non era acquistato in situazioni di avversione al rischio poichè in precedenza si era persa la correlazione che vedeva gli investitori indebitarsi in valuta nipponica al fine di acquistare attività di rischio in grado di fornire rendimenti interessanti, rendendo di fatto non necessaria la ricopertura di posizioni corte in yen quando si vendevano asset legati al rischio. In poche parole, in passato ci si indebitava in yen per comprare borse e quando si chiudevano le posizioni sulle borse per avversione al rischio, c’era la necessità di chiudere i finanziamenti in yen, cosa che da tempo più non avviene.

USD/JPY lo dimostra, rimanendo vicino ai livelli di massimo, pur essendo intervenuta la Banca Centrale sul mercato di cambi, andando ad acquistare yen per la prima volta dal 1998 per contrastarne la debolezza.

La forza di dollaro, unitamente alla debolezza della sterlina, sta mostrando degli effetti moltiplicativi di volatilità che hanno condotto il pound a questi nuovi minimi.

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Debolezza dell’euro

La moneta unica europea sta mostrando una debolezza intrinseca dovuta alla debolezza economica attuale e prospettica, oltre al fatto che il mercato sta realizzando che la struttura europea ha chiaramente mostrato di non essere idonea all’esistenza di una moneta unica.

Non si tratta di ideologismo, è una pura presa di coscienza che un sistema a cambi fissi come quello attuale, non è sostenibile nel lungo periodo. Prima le divise europee erano in grado di fluttuare liberamente, creando dei meccanismi di aggiustamento economico naturali, in grado di rendere i cicli economici sostenibili. Ora, in un’area monetaria dove un euro vale un euro dappertutto, senza la creazione artificiale di questi meccanismi (per esempio, la diminuzione dei redditi al fine di tagliare la domanda aggregata in certe economie - la cosiddetta austerity), non si riuscirebbe a mantenere in essere l’intero sistema monetario.

Un altro fattore da tenere in considerazione risulta essere la difficoltà di azione della Banca Centrale Europea, che non può alzare i tassi come dovrebbe, altrimenti metterebbe in grave difficoltà molti Paesi. Per combattere un’inflazione derivante sia da shock di offerta, che da shock di domanda sarebbe necessario agire in fretta come stanno facendo la Federal Reserve e la Bank of England (oltre a diverse altre banche centrali, come la Swiss National Bank che dopo anni ha riportato i tassi in territorio positivo). Proprio la struttura dell’area euro però, che offre rendimenti diversi per ogni singolo Stato e che vede i meccanismi di trasmissione della politica monetaria che devono passare per un sistema totalmente bancocentrico, rendono la capacità e soprattutto la velocità di intervento estremamente fallaci.

Le relazioni commerciali che esistono tra il Regno Unito e l’Europa (che risulta essere il maggior partner della Gran Bretagna) non lasciano gli animi sereni e questo pesa ulteriormente sulla divisa britannica, che aveva già perso molto terreno nei confronti del dollaro prima del flash crash di questa notte, causato dall’approvazione del piano di cui abbiamo parlato (non dimentichiamoci di ragionare sempre nei confronti del dollaro e non dell’euro, EUR/GBP è un cross che viene calcolato utilizzando EUR/USD e GBP/USD).

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Borse, materie prime e obbligazionario

Le materie prime si stanno muovendo in modo contrastato, con oro e petrolio che scendono ed il gas che rimane sostenuto.

Sul fronte petrolio, L’OPEC ha deciso di tagliare la produzione di 100.000 barili al giorno, dopo aver deciso in precedenza di aumentarla della stessa quantità, per cercare di mantenere sostenuti i prezzi. I timori di recessione però risultano essere superiori e questo sta impattando sulle quotazioni che hanno raggiunto dei livelli inferiori agli 80 dollari al barile, il che depone a favore di una diminuzione dell’inflazione importata.

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Per quanto concerne l’oro invece, in virtù di quanto detto anche in precedenza relativamente alle valute rifugio, stiamo assistendo a delle discese anzichè a delle salite, in quanto gli investitori non cercano di proteggersi dall’inflazione acquistando il metallo giallo a causa della troppa incertezza e paura derivante dai movimenti che abbiamo visto all’inizio della pandemia, quando tutti gli asset erano venduti alla ricerca di liquidità in dollari.

Acquistare oro viene percepito come rischioso in quanto potrebbero partire liquidazioni importanti su tutto in caso di forte avversione al rischio ed il fatto che esso stia scendendo in maniera continuativa confermano la dollaro centricità del mercato (il prezzo dell’oro è quotato in dollari).

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Sul fronte borse continuiamo a vedere scenari di risk off, con il Dax che ha rotto un doppio minimo di lungo periodo e le americane S&P500 e Nasdaq che si trovano al cospetto di un doppio minimo di lungo periodo, con il Dow Jones che sta tentando già una rottura ribassista. L’avversione al rischio porta a rifugiarsi sulla divisa americana, in un mondo che vede i tassi di interesse in salita e che sta mostrando forti vendite sull’obbligazionario (le nuove emissioni permetteranno di ottenere tassi maggiori, relazione inversa tra prezzo dei bond e loro rendimenti).

Intervento coordinato delle Banche Centrali

E’ possibile assistere ad un intervento coordinato delle Banche Centrali?

La risposta è affermativa.

La forza di dollaro sta schiacciando tutte le altre divise, il che rende la situazione economica mondiale in pericolo. La maggior parte delle materie prime si pagano in dollari, per cui una valuta debole aumenta ulteriormente i costi di approvvigionamento. Oltre a questo, valute deboli importano ulteriore inflazione ed aumentano i costi relativi alle importazioni dall’estero, andando ad incidere anche sulla bilancia dei pagamenti e sulla bilancia commerciale. Il debito pubblico dei Paesi emergenti, quasi sempre in dollari, risulta inoltre difficilmente sostenibile.

Questi alcuni fattori che farebbero propendere per la necessità di un dollaro più debole, ma con mercati incerti ed alla ricerca continua di rendimenti, con il differenziale tra tassi di interesse attuale e tassi USA visti in rialzo di ulteriori 125 bp nelle due prossime riunioni, è difficile che avvenga un’inversione di trend nel breve periodo senza l’intervento di un Deus Ex Machina.

E l’intervento dovrà essere concertato, non unilaterale, per far sì che qualcosa accada.

La Bank of Japan è già intervenuta a mercati aperti, chiedendo dapprima delle quotazioni al telefono su USD/JPY, facendo così capire le sue intenzioni di acquisto di yen, per poi essere andata effettivamente ad acquistare yen sul mercato, con una mossa da professionisti (hanno aspettato la rottura dei massimi tecnici che hanno pulito diversi stop dei ribassisti, per poi spingere le quotazioni a ribasso). In passato essa è intervenuta diverse volte, ma sempre vendendo yen. L’unico acquisto avvenuto in precedenza risale al 1998. Capiremo a fine mese di che quantità di yen stiamo parlando, ma il risultato del suo intervento unilaterale non ha mostrato per ora gli effetti desiderati.

La Swiss National Bank ha mostrato in passato di non essere stata in grado di difendere il PEG con l’euro a 1.2000, confermando il fatto che il mercato risulti troppo forte per poterlo contrastare in solitaria.

La BCE è intervenuto in passato soltanto nel 2000 e nel 2011, andando sempre ad acquistare euro contro dollaro e contro yen, sia unilateralmente che in maniera coordinata, con risultati che hanno mostrato effetti positivi solo nei secondi casi.

La Bank of England dovrà per lo meno rilasciare delle dichiarazioni prima del prossimo meeting di novembre (dove ci si attende anche un possibile rialzo di tassi da 100 bp), il mercato ne ha bisogno, se non addirittura procedere con dei rialzi di emergenza.

I potenziali interventi coordinati da parte delle Banche a cui ci riferiamo non sono relativi a quanto già fatto in passato per quanto concerne le linee di swap in dollari decise per continuare a fornire liquidità in valuta americana a chiunque ne avesse bisogno, ma si riferiscono all’effettivo controllo dell’andamento dei tassi di cambio mondiali. Se essi ci saranno, saranno presumibilmente di tipo verbale in un primo momento, dopodiché i Banchieri Centrali ed i Ministri delle Finanze dei diversi Paesi decideranno il da farsi.

Prepariamoci comunque, la situazione da tempesta valutaria perfetta esiste, potremmo assistere a dei momenti storici.

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